«Vita da morte, nuova vita più forte»:
per una vita che va ce n’è una che arriva, la speranza che sboccia incrocia nel suo cammino il delirio della fine, ma dopotutto, come ebbe a scrivere Leopardi, «Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte». E non è forse l’amore ciò che genera la vita, quel che più si avvicina a quello strano motore che muove il mondo e che regola i destini di chi nasce e di chi muore, degli esseri umani tutti? Da Omero a Virgilio, il binomio έρος e ϑάνατος – amore e morte – è diventato qualcosa di imprescindibile, a cui ci aggrappiamo disperatamente per cercare di sopravvivere, o a cui ci appelliamo per tentare di spiegarci un disegno oscuro, proprio come accade ai protagonisti del romanzo di Carmelo Sardo Per una madre.
Carmelo Sardo, siciliano residente a Roma, è un noto volto del giornalismo italiano, ma è con la narrativa che riesce a penetrare la sensibilità del pubblico, rovesciando su carta il furore cieco e scintillante della sua amata Sicilia. Dopo il grande successo di Malerba – scritto insieme al detenuto ergastolano Giuseppe Grassonelli – con cui Sardo ha vinto il premio Leonardo Sciascia, il giornalista di Agrigento si inoltra nell’irto terreno dei legami familiari.
Per una madre narra la storia di un ritorno, o meglio, di più ritorni, perché ogni cosa, alla fine, deve riallacciarsi alle origini, a quell’ordine prestabilito che è fulcro, essenza, che è terra, mare e vento.
Le spoglie di don Carmelo Sferlazza possono di nuovo toccare il suolo catanese, dopo che l’anziano capomafia ha scontato l’ergastolo nel carcere borbonico dell’isola di Favonio; insieme a lui, ad accompagnarlo nel viaggio finale, i figli Agata e Antonio, cresciuti a Roma insieme alla zia, che ha deciso di portali con sé dopo l’omicidio della madre, Angela, brutalmente uccisa in un agguato venticinque anni prima di fronte agli occhi sbalorditi di Agata e di Antonio, all’epoca molto piccolo. C’è anche Giovanni, ex poliziotto penitenziario, ora giornalista, già presente, in qualche misura, nella vita degli Sferlazza; in occasione dell’estremo saluto a don Carmelo, Giovanni ed Agata, che si erano già conosciuti durante i colloqui in carcere con il padre, quando lei era solo una bambina, riallacciano i rapporti e si innamorano perdutamente l’uno dell’altra.
Quello che appare come un ultimo saluto, necessario, alla terra natale, in realtà si trasforma in un vero e proprio ricongiungimento, poiché Antonio, laureato in Giurisprudenza e aspirante avvocato, desidera fare chiarezza su qualcosa che lo tormenta da troppo tempo: chi ha ucciso sua madre Angela? Come sono andate realmente le cose? Perché nessuno ha mai indagato fino in fondo, attribuendo la responsabilità unicamente a Cosa Nostra? Antonio avvia un’indagine che lo porterà lontano, che lo condurrà sulle tracce di famiglie sconosciute, di vite spezzate e scomparse misteriose.
Il romanzo di Carmelo Sardo è quel che potremmo definire un contenitore di emozioni allo stato puro: il ritmo della narrazione, che si sposa perfettamente con il vissuto di ogni singolo personaggio, è impregnato dei sapori e degli odori della Sicilia, ma non mi riferisco all’ottimo cibo, al profumo della salsedine, all’odore del sole che picchia e brucia le foglie degli alberi; mi riferisco, piuttosto, a quell’inebriante e persistente profumo di sicilianitudine che riposa disteso sui balconi degli antichi palazzi dei centri storici – così silenziosi nelle ore più calde, roventi – un odore che avviluppa l’aria, stringendola in una morsa famelica, un odore che si insinua nei sorrisi degli isolani, inquieti, brillanti e sofferenti al tempo stesso. Tutto è Sicilia, tutto è furore, lava vulcanica, passione ardente.
Passione che lega e che a volte soffoca, ma che soprattutto delinea i confini entro cui vive e lotta l’elemento chiave del romanzo: la famiglia. La famiglia è abbraccio, porto sicuro in cui riconoscersi e amarsi; la famiglia è il luogo in cui il legame di sangue conta, ma conta di più l’amore incondizionato fra esseri umani che hanno scelto di camminare affianco. Non è la mafia, non è Cosa Nostra – che pure è un nemico ingombrante, la sua ombra si allunga mestamente su tutto il panorama – il vero protagonista, anzi, è piuttosto un espediente, un capriccio, un fastidio da cui parte la ricerca dell’Amore per eccellenza, quello di un figlio per una madre.
Ed eccola, quindi, l’urgenza del ricongiungimento, perché si parte per ritornare, perché quando la polvere della terra chiama il corpo emotivo risponde, e si muove da sé. Il viaggio finale di don Carmelo; il viaggio di Agata e Antonio da Roma a Catania; il viaggio di Antonio all’interno della sua isola, in cui sente al contempo estraneo e padrone; il viaggio di Carmelo Sardo nel mondo dei ricordi e dei dolori, del passato e del non detto.
Ineccepibile l’analisi psicologica dei protagonisti, così come la caratterizzazione tutta dei personaggi: dagli affanni di Antonio ai sospiri d’amore di Agata e Giovanni; poetica e raffinata la descrizione del primo momento in cui i due amanti, più di vent’anni addietro, si incontrano per la prima volta: Agata bambina, ha solo sei anni, Giovanni una ventina. A questo giovane poliziotto il compito di intrattenere Agata, mentre Angela e Carmelo rubano pochi istanti di intimità. Giovanni ed Agata diventano i complici di un amore che si consuma a pochi metri da loro, ed è con la morte di don Carmelo che riprendono le fila di quel sentimento, che ora vive in loro. Una sorta di passaggio del testimone – ancora amore e morte, amore che vive con la morte e rinasce da essa.
Ci sono poi l’avvocato Gino Petralia e don Pippo, due uomini profondamente diversi, siciliani di una Sicilia antica e malinconica, che aiuteranno Antonio nella sua indagine, ognuno a suo modo. Appaiono come due parti differenti della medesima figura, un unico grande uomo che custodisce le paure e le angosce del giovane Antonio, orfano di madre ma anche di padre, giacché non ebbe mai modo di conoscere Carmelo Sferlazza. Non è forse la necessità di avere di un punto di riferimento fisso, umano ed emotivo, che porta Antonio a cercare l’appoggio di uomini dai valori saldi, nonostante ciascuno di loro conservi un mistero a cui il ragazzo non può accedere? L’avvocato Petralia e don Pippo sono giustizia e spiritualità, ma anche verità e ombra, luce e menzogna.
Carmelo Sardo, con una penna di fuoco, è riuscito a far convivere, in un unico romanzo, la vita e la morte, tessendo una tela di rapporti umani in cui si intrecciano l’amore – in tutte le sue forme e sfaccettature possibili – e il bisogno di verità, anche a costo di infrangere le regole del cuore e l’equilibrio della mente.