Cosa vuol dire separarsi da sé: intervista a Megan Nolan

“Mi raggomitolavo e mi nascondevo per dire che ero niente, ed ero felice di essere niente se il niente era ciò che più lo soddisfaceva. Se il niente era il minore dei guai, allora lo sarei stata, e con gioia. Sarei stata completamente vuota e immobile se era quello che voleva, o rumorosa quanto bastava per riempire i suoi silenzi. Sarei stata vigorosa e vitale se si annoiava, e quando si fosse stancato, sarei diventata prosaica e noiosamente utile come le posate”.

Da qualche mese è ormai in libreria Atti di sottomissione della scrittrice irlandese Megan Nolan (traduzione di Tiziana Lo Porto), edito in Italia da NN Editore, di sicuro uno dei titoli più forti usciti nella seconda parte del 2021.

Il passaggio citato in apertura ci dà fin da subito la misura di quanto questo romanzo si sia fatto portavoce di una storia schietta, dura, vera, vissuta in prima linea e da quella prospettiva raccontata e restituita al lettore.

Megan Nolan non racconta soltanto la storia della giovane protagonista con un uomo più grande di lei, Ciaran, una storia di non amore, di dipendenza affettiva, perfino di persuasione e accettazioni delle violenze della vita. Ma ci racconta anche di una dissociazione dal sé, un atto di separazione – e dunque non solo di sottomissione – che non subisce solo il corpo ma anche la mente e la coscienza, quando non sanno più chi sono e cosa stanno cercando.

Questo anti-amore, focalizzato nella città di Dublino, è anche un grido di aiuto per coloro che non sanno riconoscersi, un racconto di non amore verso sé stessi prima ancora che verso gli altri. Atti di sottomissione diventa quindi un romanzo di scelte, il che contempla anche la possibilità di scegliere di non scegliere.

Di tutto questo, ne ho parlato proprio con Megan Nolan.

Megan Nola, foto dal sito di NN Editore
  • Come nasce questo romanzo, e quanta forza è stata necessaria per riuscire a mettere nero su bianco queste esperienze, queste emozioni?

Le origini del libro risalgono a quando avevo 26 anni e sono andata a vivere da sola. Stavo lavorando a questo progetto ma non avevo ancora capito che si sarebbe trattato di un romanzo. Riflettevo su come una donna possa perdere la propria identità all’interno di una relazione con un uomo fino al punto di venirne risucchiata, quasi sparendo. Ho preso spunto dalle mie relazioni passate, ed è stato molto importante rimanere sola, per aver maggior lucidità nel raccogliere i miei vissuti.

  • Scrivi: “Abitando da sola, avevo iniziato a separarmi da me stessa in modo più profondo e grottesco di quanto avessi mai fatto prima”. Cosa significa “separarsi da sé stessi”? Perché credo che, in fin dei conti, tutto cominci proprio da qui, da questa specie di scollamento.

Potremmo dire che la protagonista ha due personalità differenti: da un lato è una persona che ottiene energia stando con altra gente, dall’altro finge di essere in grado di stare da sola. Infatti, quando si trova da sola nel suo appartamento non trova nulla che possa distrarla da questa situazione di “separazione” da sé, di sdoppiamento.

  • “Mi raggomitolavo e mi nascondevo per dire che ero niente, ed ero felice di essere niente se il niente era ciò che più lo soddisfaceva”: questo credo sia innanzitutto un romanzo sulle scelte, il che vuol dire anche scegliere di non scegliere o scegliere di essere semplicemente ciò che l’altro desidera. Quand’è che si inizia ad esistere per l’altro e si smette di essere qualcuno per sé, come avviene questo processo?

Credo che l’adolescenza sia il momento in cui innamorarsi di qualcuno diventa quasi “obbligatorio” da un punto di vista sociale, ovvero si trasforma quasi nella moneta sociale con cui interagire e sentirsi parte di un gruppo, anche se non è esattamente ciò che si vuole. Le cose che ti davano piacere da bambini in qualche modo scompaiono per fare spazio a questo unico obiettivo di vita. Questo, secondo me, è davvero l’inizio non tanto di quando s’inizia ad esistere per l’altro, ma di quando prende avvio il processo di accettazione delle regole della vita adulta.

  • Mi ha colpita molto il passaggio in cui scrivi “Nel posto dove importava, sarei sempre stata sbagliata”, ovviamente riferendoti a casa tua. Cos’ha rappresentato per te “casa” (intesa come luogo di origine) in quel preciso momento della tua vita, e perché lì saresti sempre stata sbagliata?

La “casa” è il luogo in cui sei cresciuta e sei diventata adulta, e contiene quindi anche tutta la tua inadeguatezza. Ti trovi davanti agli occhi tutti i fallimenti, anche se sei adulto e vivi ormai lontano. Sebbene sia riuscito a prendere una certa distanza da quel “mondo di prima” – o forse proprio per quello –, riesci a percepire e a notare i fallimenti ad ogni angolo di strada.

  • In quest’ottica, anche ogni corpo è una potenziale casa, anzi, è la nostra casa più intima, quella che ci contiene come esseri umani. Come si stabilisce, se ci si riesce, una convivenza col proprio corpo priva di rischi?

Credo sia utile smettere di pensare al proprio corpo come un oggetto che gli altri guardano, dovremmo imparare a vederlo solo come qualcosa che fa parte di noi. Questo non vuol dire non trarre piacere dalla bellezza del proprio corpo, significa solo cominciare a guardare e ad usare quella bellezza per sé e non per gli altri.

  • Oggi il cibo è ancora motivo di stress?O continua a trasformarsi in base all’evoluzione del corpo?

No, non è più una fonte di stress; nello stesso modo in cui s’inizia a guardare il proprio corpo in una maniera utilitaristica, è possibile godere dei piaceri senza quel misticismo che gli hai assegnato. Mi piace sempre molto il cibo, ma fortunatamente non è più un problema.

  • Tra gli scopi, diciamo così, della vita della protagonista c’è anche il fatto di trovare eccitante che il proprio partner la disprezzi. Perché?

Si tratta di una sfida, a conti fatti, che lei deve superare, ed è un modo per incanalare l’energia che fluttua sulla superficie. Il fatto che Ciaran la squalifichi, a poco a poco lei lo prende come una sfida, qualcosa da “erodere” nel corso del tempo. Lo trova eccitante proprio per il fatto che lui non ha bisogno di lei.

  • Esiste un modo di amare giusto o sbagliato, e qual è il limite da non oltrepassare, pena il proprio annullamento a favore del desiderio dell’altro?

Ciò che è giusto o sbagliato credo cambi da persona a persona. Non c’è un modo giusto di amare, ma di sicuro non è giusto vivere una relazione pensando che se prima o poi quella storia finisse, allora finiresti anche tu.

  • “La sofferenza delle donne è dozzinale d è usata in modo dozzinale da donne disoneste in cerca soltanto di attenzioni – e fra tutti i nostri peccati capitali, cercare attenzioni di sicuro dev’essere uno dei più gravi”. Ti vengono in mente altri peccati capitali femminili?

Credo rappresenti lo stereotipo delle donne manipolatrici che usano le proprie brutte esperienze per attirare gli uomini; è anche il motivo per cui mi riferisco alla disperazione nel titolo (“Acts of desperation” è il titolo originale, ndr): quel tipo di manipolazione fa riferimento all’archetipo delle “donne cattive”, che sfruttano le proprie debolezze per tenersi gli uomini.

  • Il bello di questo racconto – e dunque del racconto che fai della tua esperienza – si cela soprattutto nel fatto che non cedi al vittimismo. Scrivendo che “scendere a patti col proprio vittimismo fa solo parte dell’essere donna” scegli di esporti in modo netto e coraggioso: perché lo pensi?

Le donne sono generalmente molto più oppresse degli uomini, anche quelle che vengono da esperienze più positive hanno sperimentato vari stadi di mancanze di rispetto, talvolta casuali. Le donne quindi accumulano vicende, a volte simili fra loro, e quando si dice che tutte le donne, chi più chi meno e, appunto, a livelli differenti, passano attraverso situazioni analoghe, ci si dovrebbe chiedere anche perché valga la pena di parlarne.

  • Credi sia possibile che un partner ci salvi, o ci si salva da soli?

È una sorta di situazione paradossale. Se smetti di vivere perché hai bisogno di una persona che renda la tua vita migliore, qualcosa non quadra. Può accadere che qualcuno renda effettivamente migliore la tua vita, certo, ma questo si verifica molto più spesso quando capisci e senti che la tua vita migliora con e grazie a te stesso, alla tua capacità di stare sola. Gli altri ti migliorano se tu hai già raggiunto la tua stabilità, è lì il paradosso.

  • Chi è, oggi, Megan Nolan?

La pubblicazione del romanzo ha cambiato parecchio la mia vita, adesso posso scrivere a tempo pieno, posso vivere da sola e ho una situazione molto più calma rispetto al passato.

Megan Nolan vista da Renzo Sciutto

Disegno di Renzo Sciutto: caricaturista, illustratore e sceneggiatore, Sciutto ha scritto soggetti e sceneggiature per “Topolino”, “Almanacco Topolino”, “Paperino mese”; ha collaborato come disegnatore con “Sorrisi e canzoni tv”, pagine di cultura ed economia del “Corriere della Sera”, “Uomo Vogue” e “La settimana enigmistica”.

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