L’educazione sentimentale inizia con il liscio

«La vita è come il liscio, si balla in due e bisogna andare a tempo».

Frank Saponara ha le idee chiare, sa che la vita assomiglia proprio al liscio, quel ballo che porta l’allegria in chi lo pratica e, forse, anche in chi lo ammira. Perché è qui, nel magico regno della balera, che lo spettatore diventa ballerino e, viceversa, il ballerino si alterna allo spettatore: tutti sono tutto, diventano una e più persone, è nella sala da ballo che si mescolano ruoli, identità e odori, in uno scambio sentimental-carnale senza eguali.

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È questa l’atmosfera che si respira al Sorriso Dancing Club, la balera che fu del Carlin e che ora è di Frank Saponara, il protagonista dell’ultimo romanzo di Paola Cereda che, dopo il successo de Le tre notti dell’abbondanza (Piemme), torna in libreria con Confessioni audaci di un ballerino di liscio (Baldini&Castoldi).

Ci troviamo a Bottecchio sul Po – comune inesistente della provincia di Rovigo, Polesine puro. E il Polesine, occorre specificarlo subito, è l’altro grande protagonista del romanzo – e Frank è arrivato al traguardo dei cinquant’anniappena cinquant’anni – e anche il Sorriso compie il suo mezzo secolo di vita – ha già cinquant’anni: perché non dare una festa in onore di entrambi? Il Saponara è ballerino per eccellenza e tombeur de femmes per vocazione, amato e odiato dalle sue splendide – splendide? Qualche volta sì, qualche volta… – dame e dai mariti, amanti, compagni di quest’ultime; è giunto anche per lui il momento di tirare le somme di questo primo tempo di vita – un tempo che scorre in modo curioso, non omogeneo, tutto sembra immobile e fermo eppure si cavalca il futuro con ritmo inesorabilmente veloce. Lo spunto, inconsciamente, deriva dalla morte misteriosa di un suo caro amico, Vladimiro Emerenzin, il Mato del paese, il poeta “vagabondo” che ha recuperato un pezzo di spiaggia lungo il fiume – la spiaja de ‘l Mato, dove ci sono le cosiddette pietre del buon consiglio – affinché la gente possa andare lì a fare l’amore.

Vladimiro avrebbe dovuto partecipare alla festa del Sorriso, ma in realtà, proprio quella notte, è morto, lasciando accanto a sé quello che sembra a tutti gli effetti un messaggio per Frank: un biglietto con una parola scritta a matita, di cui il Saponara non conosce esattamente neanche il significato, eppure ha a che fare con un odore – e non è forse l’odore una fra le cose che ci rappresenta di più? E non è forse la balera il luogo in cui gli odori si mescolano, si incrociano e si incontrano?

Come è morto Valdimiro? Un piccolo mistero che diventa un capriccio, un espediente, per ripercorrere tutta la vita di Frank Saponara, del Sorriso e di certi abitanti del Polesine che hanno continuato a costruire il loro tempo senza tempo anche dopo la disastrosa alluvione del 1951.

«Tutti i giorni fai l’allegro per non dire a te stesso che, in fondo, non riesci ad essere contento».

Sono le parole che l’Ancilla rivolge a Frank, suo figlio, in uno scambio di battute serrato ed inevitabile; solo una madre può conoscere alla perfezione il proprio figlio, come un albero riconosce subito il frutto della pianta, anche quando cade e si perde tra le foglie già appassite.

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Frank è un cinquantenne incompiuto, che probabilmente non ha ancora terminato il suo ballo con la vita e continua a girare a vuoto, da solo: la balera, per lui, è una sorta di educazione sentimentale che lo tiene al riparo non dalle delusioni e dai fallimenti – tutti i suoi rapporti, da quello con Ivana, prima ballerina e primo amore, a Kristelle, attrice di «film senza trama» totalmente incapace di ballare, fino ad arrivare a Barbara, musicista e cantante, si sono risolti in un nulla di fatto – ma piuttosto lo tiene lontano – o così crede – dallo scorrere del tempo.

Sì, il tempo, ancora il tempo:

«Forse credi che il tempo possa cambiare a seconda dell’esperienza che misura, oppure sei convinto che con te sarà illimitato. Ma non lo sarà, Frank».

Dice al suo figlioccio la Beltra, storica addetta alla biglietteria del Sorriso nonché primo “esperimento” del Saponara con il sesso.

Frank non è altro che il piccolo Franco, che oggi ha cinquant’anni, tanto allenamento sessuale e pseudo sentimentale alle spalle, e la paura di uscire dalla balera nel Polesine, dalla sua esistenza immobile e sicura: non accetta che sua madre, dopo anni di vedovanza, finalmente possa rifarsi una vita con un nuovo compagno («le madri sono fatte per restare»); non accetta gli abbandoni, eppure ne subisce di continuo; non accetta che ci sia una vita al di fuori del Sorriso, che non è solo balera, ma è micro cosmo necessario e fisso.

Le donne per lui sono passione ardente, scoperta, avventura, ma sono anche maternità, guscio, protezione; sono tappe di un percorso e segnano la sua crescita continua e inesorabile, come uomo e come figlio. Frank è l’uomo di oggi che si ostina a dormire sul suo letto di adolescente, con un materasso che si accorcia sempre di più. La vita passa, si ritira come le onde che si infrangono sulla spiaggia, e lui resta, ad aspettare la verità.

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Verità che, come disse l’Ancilla a Frank, solo Vladimiro Emerenzin padroneggiava e diffondeva. Il poeta, ‘l Mato di Bottecchio, nato nella soffitta dello storico bar Cremlino proprio nell’anno dell’alluvione, è il punto di riferimento emotivo ed umano del nostro ballerino: l’Emerenzin, che affida alle pietre del fiume la sua saggezza, è la personificazione della poesia, che a sua volta altro non è che il simbolo della purezza, della verità – dunque di quel che la ragione spesso classifica come pazzia.

Torna l’elemento dell’acqua – il mare ne Le tre notti dell’abbondanza, il fiume nelle Confessioni – e torna, con forza, l’urgenza di libertà; libertà dalle convenzioni, dal passato, perfino da se stessi. La libertà è un odore – l’odore che Vladimiro suggerisce a Frank – e Saponara deve riconoscere il suo.

Ironico, audace e schietto, l’originale romanzo di Paola Cereda attraversa il territorio del Polesine e le storie dei suoi abitanti a colpi di valzer e di mazurca, trascinando il lettore in un ballo che dura il tempo di una vita.

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