«Uno scrittore lavora sempre, soprattutto quando non ne ha l’aria», scrive Luca Ricci, che chissà quale espressione avrà avuto mentre era intento a redigere I difetti fondamentali (Rizzoli), difetti, ovviamente, non suoi, ma di tutti quegli scrittori – affetti da manie, ossessioni, vizi e virtù – che costituiscono l’universo letterario.
Quattordici racconti per quattordici tipi, quattordici modi diversi – eppure fatalmente uguali – di intendere la letteratura: dal rifiutato all’adultero, dall’invidioso al velleitario, questa raccolta si presenta come un Baedeker dello scrittore contemporaneo, mentre ci si muove tra realtà e fantasia, complici i numerosi spunti di confronto e richiami letterari che emergono dalle singole storie.
Uno dei protagonisti più struggenti, insieme al folle, è senza dubbio il rifiutato, che si ritrova oggetto di una narrazione d’altri tempi, la cui atmosfera richiama senza dubbio quella delle case editrici di metà Novecento, con un Pavese o un Calvino che vi si aggirano indisturbati. Infatti il manoscritto del nostro povero autore giace, solitario et pensoso, sulla scrivania di un editor che, ogni lunedì, alla stessa ora, per circa nove, dieci mesi, riceve la telefonata del suddetto scrittore: «Avete letto il mio manoscritto?» «Nossignore», un tira e molla di scambi più o meno scortesi, scanditi dal nervosismo dell’editor, che si dimostra sempre più impaziente, e dall’aplomb fiducioso dell’autore. Al di là del finale, sorprendente e di rara commozione, si avverte chiaramente la formazione di quel nodo che unirà, per sempre, le vite dei due personaggi, stretti nella morsa crudele – potremmo definirla tale, almeno per questa volta – della letteratura. La loro “relazione” diventa necessaria, come necessario è il legame fra scrittore e opera, fra scrittore e lettore e fra lettore e opera.
C’è poi Lo scomparso, l’ombra di se stesso che alimenta il mistero intorno alla sua letteratura e soprattutto intorno al suo personaggio. È il metascrittore che parla, tale Xavier Bellini che – forse inebriato da tanta materia letteraria – si finge morto come il pirandelliano Mattia Pascal, sebbene il suo punto di riferimento sensazionalistico sia Maiorana.
«Davvero qualcuno sta imbastendo tutta questa follia sopra fatti del tutto casuali o comunque da me non voluti? Oppure è vero, hanno ragione loro, e tutte queste piccole confessioni camuffate sono il frutto dell’incessante lavoro del mio inconscio?»
(à la Elena Ferrante): il rifugiato/esiliato/finto morto letterario decide, in preda a quel narcisismo esistenziale tipico di certi scrittori, di approdare nella tana di una sua accanita lettrice, una vera e propria fan, che ben presto diventerà autentica vittima. Come in un Misery non deve morire al contrario, il Bellini abusa della bibliotecaria Rosa che lo ospita a casa sua e ne diventa schiava personale, fino al limite dell’ossessione. Un thriller condensato in 40 pagine, in cui la letteratura non è più solo mezzo comunicativo, ma diventa materia onirica e trappola, un incubo disseminato di indizi che, presto o tardi, porteranno al colpevole, che altri non è che lo scrittore stesso.
«La letteratura e la miseria in cui mi barcamenavo erano così strettamente correlate che spessissimo non potevo avere a che fare con una senza pensare all’altra», sostiene il protagonista de Il velleitario, ma è anche vero che certa letteratura, ossia quella di genere, può portare al successo, come è capitato a L’invidioso. Ma perché uno scrittore di grido, accolto dal pubblico con grande simpatia, dovrebbe essere invidioso del libro del suo migliore amico, pubblicato con una piccola casa editrice, discreto, molto discreto, al punto tale che nessuna libreria decide di esporlo in vetrina e nel giro di poche settimane sembra già finito nel dimenticatoio? Con una sferzante e ironica immagine onirica – e in questo caso trattasi di sogno vero e proprio, fatto dal protagonista – Luca Ricci snoda esilaranti, nonché fastidiosamente vere, riflessioni sulla letteratura contemporanea.
«Scusi, dove sono i libri?» chiese.
«Qui abbiamo solo libri-panettone» rispose il commesso.
(…)
«Per i libri?» chiese.
«È arrivato nella sala giusta. Vuole un giallo, un thriller o un noir?»
La deriva della letteratura, della cultura? L’annullamento della coscienza dei lettori? La pigrizia progressiva di chi non produce più nulla che non sia letteratura di genere, perché non si vende, perché non c’è interesse, perché si ha paura di scendere in profondità, troppa fatica. La triste presa di coscienza che l’editoria, ormai, si è ridotta a questo: «accalappiare i non lettori che uscivano per un giro di shopping generico».
Tutti I difetti fondamentali altro non sono che storie di vita vissuta, storie vere di gente inventata o storie inventate di gente vera, storie e gente che – di questo siamo certi – diventano letteratura perché di letteratura sono fatti. Siamo ciò che leggiamo, siamo quello che scriviamo, ma siamo forse – soprattutto? – ciò che non scriviamo e ciò che non leggiamo, ma che viviamo (proprio grazie ai libri, paradossale, no?).
La letterarietà sofisticata, elegante e tuttavia immediata, contemporanea, dei racconti di Luca Ricci si alimenta dei nascosti e sommessi rimandi alle opere letterarie che hanno fatto la storia, che ne hanno disegnato i contorni e rimodellato la figura. E non si arena, tale suddetta letterarietà, neanche di fronte all’amarezza di certe considerazioni. Dunque non resta che godere di questi brevi ritratti, perfette e fulminanti istantanee di vita romanzata, senza badare troppo al giudizio critico, ché «la critica» come dice Giorgio Gamba ad Olga Merlin in “La canonizzata” «non può morire semplicemente perché non è mai davvero nata». (E chissà io che ci faccio qui)
Rieccomi! A proposito di libri struggenti, ti consiglio caldamente questo: https://wwayne.wordpress.com/2014/11/20/amori-proibiti/. L’hai già visto?
No!! Ma grazie del consiglio, adoro questo tipo di Libri 🙂
Lo trovi qui: http://www.fratinieditore.it/elegia_provinciale_micheli.html. Grazie a te per la risposta! 🙂
Attenta ai ‘senza dubbio’, peraltro ripetuto un rigo dopo. Io avrei scritto molto più laicamente “a mio parere”. Diversamente costringerai lo scrittore ad aggiungere “L’infallibile” alla galleria di tipi che ci presenta. Vittorio Riera (da Palermo).
P. S. Quando fa un’altra ‘calatina’ a Palermo?
“A mio parere” è sempre sconsigliato nelle recensioni, il punto di vista personale – esplicito – mi insegnano dovrebbe esser messo da parte… Però grazie per il consiglio, mio carissimo Vittorio, sono sempre apprezzati i tuoi pareri 🙂 Eh… A Palermo spero di tornare presto! Purtroppo non è dietro l’angolo e con i disagi della neve nelle Marche (dove vivo) è stato difficile muoversi anche nei dintorni. Speriamo di vederci presto! Un carissimo saluto, G.
Tutti ottimi spunti di riflessione, soprattutto (perché mi tocca da vicino) quello sull’editoria e i lettori di oggi 🙂