«Non è mai troppo tardi per essere ciò che vuoi».
Romana trapiantata a Milano, fan di Woody Allen e Jessica Fletcher, ragazza di borgata, una madre “asburgica” che le ha inculcato il senso del dovere fin da piccola (forse ora le cose sono cambiate), Chiara Moscardelli torna oggi in libreria con il suo quarto romanzo Volevo solo andare a letto presto (Giunti).Dopo il successo di Quando meno te lo aspetti, l’autrice ci regala un nuovo esilarante personaggio femminile che, in qualche modo, rispecchia una delle sue molteplici personalità.
Come sono le donne di Chiara Moscardelli? Delle anti eroine o delle eroine proprio per il fatto di essere così anti eroiche?
Bella domanda, credo un po’ entrambe. Ufficialmente sono delle anti eroine, perché imbranate, sbadate, devono far fronte – a volte maldestramente – a mille imprevisti e situazioni, però sono vere, genuine e rispecchiano la donna reale. Sono delle eroine della quotidianità proprio perché non sono finte né stereotipate, dunque…anti eroine.
Agata Trambusti, la protagonista del romanzo, è ipocondriaca ed ha paura di molte cose, una su tutte l’amore. Tu hai paura dell’amore?
Assolutamente sì. Sono terrorizzata dall’amore, in realtà spero sempre in un rifiuto perché un amore corrisposto implicherebbe l’inizio di una relazione, dunque il mettersi in gioco; mi spaventa perché c’è sempre il rischio di farsi male. Quando si è abituati alla solitudine ricominciare ad amare è difficile, in fondo la solitudine protegge, preserva dagli errori, dai dolori e dalle delusioni.
E preserva anche dagli amori sbagliati, da quelle relazioni che sempre più spesso vediamo sfociare in tragedia.
Ovviamente. L’amore più sbagliato è quello che modifica il modo di essere per insicurezza, per il desiderio di essere accettato dall’altro. Quando una donna non si sente degna dell’uomo che ha accanto accetta ogni cosa, si piega allo schiaffo, alla parola detta con cattiveria, al tradimento. Mentre la cosa fondamentale per una donna è piacere a se stessa, essere il centro del suo mondo. La vera forza sta nel capire di potercela fare da sola, di avere un valore a prescindere dall’uomo che ci è accanto. Vero è che spesso è la società ad imporre dei modelli: donna sposata, con famiglia e figli. Io ho 44 anni, non ho figli e probabilmente mai ne avrò, ma non per questo dovrei sentirmi meno realizzata di una madre. Ho priorità diverse, tanto importanti quanto lo sono i figli per qualcun’altra.
Tutto il romanzo è ambientato nel quartiere di Torpignattara, ma tu, pur essendo nata a Roma, vivi a Milano. Un flash su queste due città?
Due realtà estremamente diverse. Di Roma amo qualsiasi cosa, il mio cuore è sempre là. Milano è efficientissima ma molto fredda e distaccata, Roma è calda e accogliente, nonostante l’evidente caos. In fondo la città è fatta dalle persone e a Roma trovi ancora qualcuno che, se inciampi per strada, è pronto ad aiutarti, mentre a Milano sono tutti scostanti e indifferenti.
Con questo romanzo ho voluto fare un omaggio a Roma, al coloratissimo mondo di borgata che Milano non riesce a comprendere. Sono cresciuta in una borgata sulla Cassia, popolata da tutti quei personaggi folcloristici che ho descritto nel libro, anche se il quartiere di ambientazione è Torpignattara, uno dei più malfamati e pericolosi in cui in realtà non ho mai messo piede.
Nel romanzo c’è anche una forte componente musicale.
Per la quale mi sono fatta aiutare, perché di musica capisco poco. A parte la classica, non sono un’appassionata, conosco giusto i fondamentali come Madonna e Bruce Springsteen.
E del Nobel a Bob Dylan, che mi dici?
Sono rimasta impassibile, perché a parte Blowin’ in the wind non conosco altro di Dylan! Oltretutto parlo pochissimo l’inglese, quindi non sarei neanche in grado di apprezzarne i testi, perciò mi fido del giudizio dell’Accademia di Svezia.
In Volevo solo andare a letto presto c’è anche un piccolo giallo da risolvere e in Italia il giallo è uno dei generi più letti. Che ne pensi?
In realtà ho usato il giallo come pretesto per portare avanti la storia; sono forse l’unica autrice a fare questa commistione tra giallo e commedia. Come disse Carlotto quando presentammo il mio secondo romanzo: “Chiara Moscardelli è l’unica a scrivere questo tipo di romanzo in Italia”, che non è né un giallo puro né una commedia pura. Da appassionata de La signora in giallo, posso dirti che il giallo è una fuga dalla realtà, diverte e rassicura perché l’ordine, prima o poi, viene ristabilito. E poi è seriale, ci si affeziona.
A proposito di libri, cosa ne pensi dell’affaire Salone del Libro?
Posso dire che la cosa non mi interessa? Sì, è vero, sono stati interpellati anche gli scrittori, ma credo siano gli ultimi a doversi esprimere, in fondo non sono loro a pagare lo spazio per gli stand, ma gli editori. Oltretutto, diciamolo: Torino non si è mai organizzata al meglio per il Salone, soprattutto per le esigenze degli addetti ai lavori a fine giornata. Parlo per esperienza, avendo sempre curato l’ufficio stampa prima di Fanucci, poi di Castelvecchi e ora di Baldini. Se Torino non è una città in grado di contenere il Salone, basta, proviamo con Milano. Di fatto, io da venti anni come ufficio stampa, vivo un grande disagio durante le giornate del Salone.
