Voi lo sapete che l’isola di Sant’Elena dove Napoleone andò in esilio si trova a largo dei Caraibi? No? Male, non siete preparati. E lo sapete che il maggese è un contadino? Ma allora siete proprio degli asini! Dovreste tornare a scuola, proprio come ha fatto Simonetta Tassinari, con l’unica differenza che, Simonetta, dalla scuola non se ne è mai andata, perché insegna Storia e Filosofia in un liceo di Campobasso.
Quelli appena citati sono solo un paio degli innumerevoli strafalcioni che la Tassinari ha raccolto nel suo ultimo, fantasioso e divertente libro edito da Corbaccio, La sorella di Schopenhauer era una escort.
Questa simpatica raccolta di mega errori non ha soltanto il merito di farci divertire, ma anche quello di farci riflettere a fondo, poiché si trasforma in una sorta di guida all’alunno, all’adolescente di oggi, nonché al docente che – lo dice la parola stessa da cui deriva, educere, che in latino significa “trarre fuori, condurre”, dunque “allevare” – lo dovrebbe educare, e non solo erudire.
Tanti i temi affrontati nel libro, in primis quello che riguarda il nuovo volto della scuola: c’è più scioltezza, i rapporti tra professore ed alunno sono disinvolti e amichevoli, sebbene la figura dell’insegnante, oggi, non goda – anche da parte della società, anzi soprattutto – del rispetto di cui godeva fino a circa un paio di generazioni fa. Qualcosa è cambiato – per citare il film con Jack Nicholson – ma in che direzione? Occorre, forse, ripensare al modello scolastico con maggiore accuratezza, fissando l’attenzione sulla cosa più importante, l’educazione dei ragazzi.
I giovani di oggi, scrive la Tassinari, sono la “generazione dello smartphone e di Wikipedia”, perché è naturale che i tempi si siano evoluti, ma non sempre progresso fa rima con miglioramento. Il punto chiave è che a perdersi non sono stati tanto i cosiddetti valori fondanti – dopotutto, come ci ricorda Simonetta Tassinari, i valori alla base di tutto sono quelli preesistenti perfino alla generazione dei professori con gli occhiali da presbiti attaccati al collo – quanto il senso di profondità, per fare una crasi dei concetti espressi dall’autrice.
“Il profilo alto e il senso della temporalità <forte> sono venuti meno quasi ovunque: è un fatto.”
Se, da un lato, strumenti di ricerca come Wikipedia, Google, skuola.net e affini aiutano il ragazzo a velocizzare e ottimizzare i tempi cercando informazioni che servono al momento, dall’altro sono diventati i sostituti della ricerca approfondita, ossia dello studio. Sappiamo tutti che nel mare magnum del web si può incappare in qualsiasi cosa, dalle notizie riportate a metà ai fakes veri e propri, ed è difficile destreggiarsi in una materia così ampia. Pertanto cadere in errore è più facile di quanto si pensi, e bene lo sanno i docenti come Simonetta, che durante compiti ed interrogazioni ne vedono di ogni: dal doppio cellulare infilato nella manica della felpa o tra le gambe, ai più classici “pizzini” inseriti fra involucro di plastica e copertura esterna del cestino dell’immondizia.
Non è dunque con Wikipedia che si può pensare di fare carriera a scuola, o quantomeno non è con i riassunti – spesso errati o guardati sbrigativamente – che si studiano la storia, la filosofia, la matematica o le scienze. Ma finché si tratta di un compito, passi pure; la cosa peggiore è che questa è la nuova filosofia di vita dell’epoca dell’ “ora e subito”, in cui tutto scorre troppo velocemente e anche la paura di non essere al passo con il resto del mondo gioca un ruolo decisivo nella formazione dell’individuo (che oggi, per dirla con Recalcati e la sua “erotica dell’insegnamento”, non vede più la scuola come luogo di formazione ed educazione).
A completare il quadro generale arriva nientemeno che il genitore-sempre-solidale, divenuto più un amico che una figura di riferimento: dove non arriva la scuola, dovrebbe arrivare la famiglia, ma non sempre è così. Questo atteggiamento eccessivamente distensivo del genitore nei confronti del figlio – povero il mio bambino, lasciatelo stare! – non fa che alimentare il terrore più grande di un ragazzo – e dell’essere umano tout court – quello del giudizio negativo. Sì, perché il giudizio negativo, che scatta con il voto negativo sul registro e in pagella, è quanto di più preoccupante ci sia.
Non è solo uno smacco al narcisismo – e la generazione smartphone e Wikipedia è anche la generazione del protagonista, nessuno può sentirsi escluso dalle luci della ribalta – ma è una modalità di confronto a cui non siamo più abituati – anche per colpa dei suddetti genitori, ebbene sì.
Se, dunque, possiamo annoverare La sorella di Schopenhauer tra i libri più divertenti sulle gaffes degli studenti, possiamo altresì affermare che il messaggio chiave è ben più importante di quanto ci si possa aspettare: ironizzare sui “limiti” degli alunni di oggi, significa anche indagare le loro esigenze, i cambiamenti che hanno subìto e che hanno scelto di attuare. Significa cercare di capire cosa può fare un insegnante per loro, fin dove può spingersi e con quali strumenti.
Apprezzabile e di grande simpatia, quella specie di “doveroso mea culpa” finale non dell’autrice ma della prof Tassinari, che, a differenza di molti adulti, ricorda bene di essere stata bambina, adolescente, ragazza e non sceglie di nascondersi dietro un dito, ma decide di venire allo scoperto e confessare che:
“Altro che il rispetto per l’istituzione scolastica: quel che contava [per noi, ndr] era fare colpo sui maschi”.
Venerdì 5 maggio, ore 12, aperitivo letterario con Simonetta Tassinari ospite del MACERATA RACCONTA: presso Magazzini UTO, dialogheremo con l’autrice sul suo “La sorella di Schopenhauer era una escort” (Corbaccio).