Buongiorno amici lettori, a pochi giorni dal Natale ho deciso di “salvare” i ritardatari (classici) della Vigilia con un post dedicato alle idee regalo: ovviamente si parla di libri (e come potrebbe essere diversamente?) e vi vorrei parlare, nello specifico, di quattro testi, tra romanzo e poesia, adatti a tutti i tipi di lettori (per gli altri consigli letterari natalizi potete cliccare qui: https://www.youtube.com/watch?v=44yWGEq52fA) .
Quelli che hanno voglia di passare un Natale in allegria, quelli che hanno voglia di leggere o magari di (ri)scoprire la bellezza della poesia (gustata con calma, nel caldo delle vostre case, magari di fronte al camino), e quelli che si sentono coraggiosi e audaci, dunque hanno voglia di letture per stomaci forti.
PER GENTE DIVERTENTE E DIVERTITA: Iniziamo subito con l’atmosfera friccicarella (non a caso uso un termine romanesco) di Volevo solo andare a letto presto di Chiara Moscardelli (Giunti). Dopo il successo di Quando meno te lo aspetti, torna una nuova (anti)eroina della quotidianità, che questa volta si chiama Agata Trambusti (un nome, una garanzia): ipocondriaca, ansiogena, nevrotica, ironica, figlia di una ex entusiasta-della-vita-libera hippy, lavora in una casa d’aste ed è amante delle telenovelas brasiliane.
Chi conosce Chiara Moscardelli – come autrice e come persona, perché lei è così, quando scrive e quando parla, uno spasso puro – sa che ci sarà da ridere, sa già che i personaggi – dalla protagonista con tutte le sue manie, passando per gli amici, immancabili, fidati e che, ovviamente, la deridono, fino ad arrivare ad amanti, pseudo fidanzati, loschi figuri – sono delineati in modo impeccabile e sorprendente, e sa già che la Moscardelli, con il suo umorismo tipicamente romano (e il romanzo è interamente ambientato a Roma), non ci fa solo ridere ma ci fa anche riflettere.
Infanzia difficile alle spalle, la paura di soffrire, di investire, di buttarsi (se non perché costretta o spinta da terzi): questa è Agata, e, a dirla tutta, ciò che sopra ogni cosa le fa paura è l’amore, fin quando non sarà costretta a farci i conti. L’incontro con Fabrizio Calcaterra, l’uomo misterioso in cui si imbatte durante un inquietante sopralluogo in una villa sull’Appia, la getterà nella mischia dei sentimenti, volente o (piuttosto) nolente.
Ma chi è quest’uomo? Perché si trovava – di nascosto – in quella villa? Cosa nasconde? E perché la insegue fino a Barcellona, dove Agata prosegue le sue ricerche sul proprietario della famosa villa, Papadopoulos, e sulla sua presunta collezione di quadri d’autore?
Con una punta di giallo e un sottile velo di mistero, Chiara Moscardelli ci porta fra le strade di Roma, fra i vicoli di Torpignattara, ci parla del timore di innamorarsi troppo (come diceva Battisti) e della forza delle donne – anche quelle apparentemente più fragili – che riescono quasi sempre a cavarsela da sole.
PER GENTE POETICA E SOGNANTE, MA NEANCHE TROPPO: «L’universo non è Spazio ma Tempo, tutto è Tempo che a sua volta crea Spazio. E di Tempo siamo fatti anche noi, come diceva Orazio». Queste sono le parole di Claudio Damiani, autore della raccolta poetica Cieli celesti ( Fazi editore), durante l’incontro con i giovani studenti di Acquasanta Terme in occasione dell’inaugurazione della nuova scuola antisismica, lo scorso 27 novembre. Cieli celesti è un’opera che parla al presente in modo, forse, involontario, delineando un percorso filosofico che parte da “La comunità” ed arriva agli “Schiavi di Dio”: la speranza è l’elemento con cui Damiani è riuscito ad accedere al sentimento offeso di chi l’ha letto, il soffio vitale con cui ha aperto uno spiraglio di luce nella crepa oscura del terremoto. Poesia significa fare, costruire, e costruire vuol dire costruire futuro, sapienza, conoscenza, e dunque significa anche ricordare.
Ma Cieli celesti è, in qualche modo, anche la rappresentazione della crudeltà – meravigliosa – della poesia: i limiti imposti dalla vita stessa sono lì, dinanzi a noi, ogni singolo giorno della nostra esistenza. Viverli e attraversarli significa dimostrare di esserci, oltre lo Spazio e oltre il Tempo. Quindi, ecco che la morte, imprescindibile, fa parte dell’uomo ma non è il confine estremo del suo sentire.
Una raccolta di poesie che parla di infinito nella finitudine, che parla della possibilità (e della speranza, dunque) di restare anche quando si scompare. Laicamente, senza retorica. Poeticamente.
PER GENTE ELEGANTE MA COMPLICATA: «Delia Elena San Marco era una poesia ermetica che nessuno riusciva a comprendere». Delia è una donna crudelmente e spietatamente bella, irraggiungibile, intoccabile, perfetta e pericolosa. Soprattutto per se stessa. Nasce dalla penna di Ilaria Milandri e si fa romanzo, Delia è di nessuno (Laurana editore): non ha avuto infanzia, ma solo negazione, in compenso è stata sovrastata dalla figura di Antonio, padre e intellettuale a tutto tondo, critico artistico e letterario, preceduto non solo dalla sua stessa fama, ma soprattutto dal suo stesso carattere, «inclemente, spietato, velenoso. Insopportabile».
L’amore negato è, in qualche modo, anche l’amore mancato che non si riesce a provare per se stessi, e quando agli occhi di chi ci ha generato risultiamo solo un grumo di incompiutezza, per non soccombere dobbiamo trasformarci in inafferrabile cinismo (inafferrabile, non impalpabile).
In una fredda mattina di primavera, Delia, professione prostituta, immedesimazione dell’espressione più alta della Bellezza artistica, incontra Adamo, un anziano vedovo distrutto dal dolore per la perdita di sua moglie. Tra i due si instaura un rapporto di silente e discreta complicità: Delia insegna ad Adamo a leggere e lui le racconta la sua vita, il suo passato. Uno scambio accurato, delicato – strano a dirsi, per una come Delia, così truce, così succube della perfidia e degli sberleffi della vita – di anime, di errori, di equivoci e di bellezza (la bellezza, va sottolineato, è elemento ricorrente nel romanzo, preponderante: in larga parte la Milandri, con maestria e grande sensibilità, incentra l’attenzione sulla crudeltà della Cultura, come fonte di conoscenza, di bellezza appunto, ma anche di malessere e di dolore).
Adamo – nomen omen – sembra essere il principio di tutto, è la possibilità di Delia di ricominciare: il fatto stesso che sia lei a insegnargli a legger e scrivere, simboleggia quasi un rimettersi in gioco da parte di questa Dea Nera, trasformata in una tabula rasa dell’emotività. Adamo è la parte tenera e ferita di Delia, il suo prosieguo nascosto e silenzioso. Adamo è l’esatta metà di Delia-Eva.
PER GENTE CHE NON HA PAURA E SI RIALZA, SEMPRE: «Stavo per entrare nel vivo del “gioco”, per partire per la mia battaglia. Scudo, elmo, armatura: l’anima era pronta e anche se il corpo continuava a protestare e ad opporre dura resistenza, non mi prendeva più la briga di fermarmi ad ascoltare le sue lamentele».
Questo è Ambulatorio 62. L’inchiostro che parla di cancro di Ivan Caldarese (Marotta&Cafiero), questa è la storia di uno di noi, la storia di una malattia, la storia di una ripresa. Ivan Caldarese non è soltanto l’autore di un bel libro, ma è soprattutto una persona coraggiosa, un uomo che ha avito la forza – e la necessità, l’urgenza – di mettere nero su bianco la sua esperienza di malato terminale.
Ambulatorio 62 è la storia di un giovane uomo che scopre di avere un cancro alla tiroide: analisi ed esami di vario tipo (anche molto invasivi) – in un ospedale dove si sentirà soltanto un numero, un puntino doloroso in mezzo ad altre decine e decine di puntini – danno il responso. Per salvargli la vita, i medici saranno costretti ad operare.
Senti di dover consigliare un testo come questo, in un momento dell’anno così intimo e spiritualmente importante (anche per chi non crede, dopotutto il Natale è sempre un momento di raccoglimento), perché credo sia giusto e necessario che la letteratura ci metta di fronte ai problemi dell’uomo – dopotutto, non nasce forse per questo? Per dare voce agli uomini e ai loro tormenti? – perché credo che sia giusto e necessario affrontare le proprie paure, le proprie angosce, quelle che la vita stessa ci impone, in qualsiasi momento. Ed è giusto farlo attraverso la storia di chi questa angoscia e questa paura le ha superate. La vita, proprio come scrive Ivan, è un viaggio in treno: divertente, ammaliante, affascinante, ed il suo giovane protagonista non vuole rinunciare a tutto questo. Ma per riuscire a rimanere vivo in questo Paradiso – che altro non è che la semplicità e la meraviglia innata, intrinseca, dell’esistenza – bisogna scendere nell’inferno più nero, una discesa che appare infinito, interminabile, ma da cui si riemerge, più entusiasti di prima.