“L’amore è una cosa meravigliosa”: nuova vita per Han Suyin

“L’amore non è sentimento né emozione: è un prepararsi alla battaglia. (…) Molti di noi non sanno cosa sia veramente, e io stessa non lo sapevo, fino a questo momento. L’amore è un sentimento che diventa adulto”.

Raramente si incontrano libri che hanno il potere di parlare di cose d’amore senza che l’Amore stesso gravi sul peso delle pagine, ma anzi, diventi quasi un’arma con cui difendersi dalle incombenze della Storia.

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Bene, L’amore è una cosa meravigliosa di Han Suyin (pubblicato per la prima volta in lingua originale nel 1952, uscito in Italia nel 1955 e ora ripubblicato da Sonzogno nella meravigliosa collana Bittersweet, dedicata principalmente alle donne – “Dalle donne, sulle donne e per le donne”. Collana diretta da Irene Bignardi) è uno di questi libri.

Molti di voi avranno visto la trasposizione cinematografica Love is a many-splendored thing di Henry King (1955, con William Holden e  Jennifer Jones), un film intenso e ben strutturato, che fa onore al romanzo dell’autrice eurasiatica. Tuttavia la sfaccettatura psicologica non tanto dei personaggi, quanto della loro concezione dell’amore, non è eguagliabile a quella presente nel libro.

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Ci troviamo a Hong Kong, 1949, dopoguerra. Han Suyin è una stimata dottoressa che esercita la sua professione in un ospedale dell’isola, ormai assediata dai molti profughi che si recano a Hong Kong in cerca di una casa dove poter ricominciare a vivere.

Suyin è figlia di madre belga e padre cinese, è una euroasiatica di buona famiglia che ha studiato medicina nelle scuole inglesi, è vedova, ha una figlia e non vuole complicazioni sentimentali. Il suo cuore è votato alla medicina e al suo Paese, c’è solo posto per la Cina nei pensieri di Suyin, fin quando un giornalista britannico residente in Asia, sposato e con figli, di nome Mark Elliott, non la invita a cena.

Inizia così la storia d’amore tra Mark e Suyin, un amore meraviglioso e difficile, ostacolato dai pregiudizi non solo razziali, ma anche sociali: Oriente e Occidente potrebbero mai unirsi all’ombra di un amore frutto di un’infedeltà? Potrebbe mai un’euroasiatica, vedova, unirsi con un britannico, sposato e per di più giornalista?

La Storia e le convezioni sociali sembrano remare contro, ma il loro amore continuerà a splendere fino alla fine, forte della saggezza appassionata di Suyin e della leggerezza – calviniana – di Mark.

Han Suyin con L’amore è una cosa meravigliosa non si è risparmiata, ha messo moltissima carne sul fuoco elaborando un testo – fortemente autobiografico – ricco e maturo.

I personaggi sono delineati in modo preciso, senza sbavature: della dottoressa Suyin spiccano fin da subito la determinazione e l’eleganza – di modi e d’animo; la sua natura euroasiatica è per lei motivo di cruccio e al contempo di vanto, e questo si avverte in ogni situazione, in qualsiasi riflessione.

Suyin sa essere tanto geisha quanto donna in carriera, indipendente e forte, in lei convivono in modo armonioso lo spirito asiatico – inteso anche come spiritualità – e l’anima europea, la sua natura dicotomica non incontra ostacoli, perché lei è naturalmente e intelligentemente divisa in due.

 

L’amore per la Cina e per la medicina sono la sua missione, per questo L’amore è una cosa meravigliosa non è solo un romanzo d’amore tra Mark e Suyin, ma è anche un romanzo d’amore per il proprio Paese e per i propri ideali. Gli accesi dialoghi tra i due amanti vertono spesso sulla questione cinese, sull’epopea della guerra civile e soprattutto sulla Lunga Marcia dei comunisti di Mao Zedong:

“La rivoluzione stava realizzandosi non solo in Cina, ma in tutta l’Asia. Le vecchie dottrine venivano via via sostituite da nuovi principi, e le nubi della politica avrebbero offuscato la vista degli uomini fino a farli morire con gioia per un ideale che neppure conoscevano”.

Il racconto, molto ampio, della situazione storica, politica e sociale della Cina di fine anni Quaranta e tutte le riflessioni di Suyin intorno alla rivoluzione, ben si amalgamano alla storia d’amore, perché quello stesso amore nasce tra le difficoltà del momento, travagliato com’è proprio dallo scontro fra Oriente e Occidente (tema, fra l’altro, di grande attualità, a dimostrazione di quanto i classici della letteratura del Novecento possiedano una potenza tale che permette loro di rimanere vivi nonostante lo scarto spazio/temporale).

Quello tra la dottoressa euroasiatica e il giornalista britannico è un amore totalizzante, che non esclude la realtà circostante ma che riesce ad isolarsi: Mark è l’uomo delle possibilità, è ciò che Suyin desidera in potenza, ma che, in atto, diventa irrealizzabile.

Vivono il loro amore in modo sincero e autentico, nessun sotterfugio, nessuna bugia, quasi dimenticando il vincolo matrimoniale di lui. Eppure Suyin sa che dietro quella splendida leggerezza di Mark si nasconde un’urgenza, la necessità di sentirsi libero, sempre e ovunque.

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Han Suyin coglie un punto fondamentale dei rapporti d’amore, qualcosa che lei scova nella sua personale esperienza, ma che Platone aveva già teorizzato nel Simposio.

L’amore tra Mark e Suyin non solo stabilisce una differenza tra Oriente e Occidente, ma sancisce anche un divario fra uomo e donna, fra due sensibilità che si muovono allo stesso ritmo ma su strade parallele.

La dedizione di Suyin al proprio uomo, che trae origine da un’educazione tradizionale asiatica, incontra la dolcezza di Mark, perdutamente innamorato di lei; ma, nello stesso tempo, la razionalità più strettamente occidentale e la propria sensibilità di femmina, la portano ad analizzare da vicino quella Cosa meravigliosa che stanno vivendo.

Mark è innamorato di un’idea, di un’illusione dell’Amore, che ha il volto di Suyin e i suoi lunghi capelli neri, ma si tratta più di una necessità d’amare qualcosa che lo leghi a sé facendolo sentire libero.

Suyin è cosciente del fatto che è quell’idea di amore a mantenere vivo un rapporto che altrimenti, costretto dalle briglie della quotidianità domestica, sarebbe perduto. Suyin, nella sua maturità di donna determinata, seppur emotivamente fragile, è pronta a concedere a Mark la sua illusione, godendo della complessità di un sentimento che è alimentato dal fuoco della distanza e dell’eccezione, pur mantenendo intatta la sua autenticità.

“In quell’interminabile attimo in cui ebbi coscienza dell’Entità senza nome, avevo compreso che Mark non mi amava. Che non amava quella che solo io sapevo di essere. Lui amava la fiamma ardente, l’estasi del cuore, l’eterna ricerca”.

Han Suyin con L’amore è una cosa meravigliosa ha affondato la penna nell’ostico territorio dell’emozione e del sentimento più grande e incomprensibile per l’Uomo, l’Amore. Lo ha fatto con eleganza di stile e delicatezza d’espressione, ma soprattutto lo ha fatto con coraggio, non lasciando nulla al caso né all’immaginazione.

La forza di certa letteratura del secolo scorso risiede proprio in questa forma di coraggio che, al giorno d’oggi, specie quando si parla di sentimenti, tende a sfaldarsi. Han Suyin si è messa in gioco, ha parlato di sé e della Cina, e ha continuato a farlo anche dopo, con numerosi scritti sull’ascesa di Mao, sulla rivoluzione e sulla grandezza della Cina popolare.

Oggi, però, di tutto il suo lavoro non si ricorda quasi più niente, Han Suyin è morta nel 2012, a 96 anni, dopo aver vissuto nell’anonimato gli ultimi anni della sua vita in Svizzera. La sua natura di “borghese meticcia” – come scrive Renata Pisu nella Postfazione – le ha impedito, negli anni più caldi della rivoluzione culturale, di ottenere

“il visto per recarsi nel paese che lei aveva deciso di eleggere a sua patria rinnegando quella metà di sé dovuta alla madre belga e plasmata dall’educazione ricevuta prima a Bruxelles e poi a Londra dove si laureò in medicina”.

Sonzogno ha dato nuova vita ad un’autrice dimenticata e lo ha fatto pubblicandola in una collana che appaga occhio e mente.

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