“A quell’ora di notte nuova e miracolosa come una nascita, in quel mucchio di minuti irripetibili e per sempre”.
Il Tempo della Storia scorre inesorabile, impietoso, rivela una concezione di “sempre” molto elastica e – giustamente – prolungabile all’infinito, eppure questo mondo reale, che è teatro e palcoscenico della Storia stessa, è formato da frammenti molto più fragili e complessi: gli individui.
Noi siamo come delle intermittenze che giocano a sentirsi padrone del proprio destino, che si muovono in una realtà a volte aliena e alienante e che soprattutto vivono: di sentimenti, di emozioni, di nostalgie.
È il rapporto tra l’uomo e il mondo, tra l’essere umano e la società e dunque tra l’individuo e se stesso, il punto cruciale, punto di partenza e punto d’arrivo mai raggiunto. È esattamente questo il fulcro della narrativa di Paolo Di Paolo, che torna in libreria con un attesissimo romanzo, Una storia quasi solo d’amore (Feltrinelli, 2016, pp. 171).
Due avverbi nel titolo, “quasi” e “solo”, sono sufficienti a far intuire che non di semplice amore si parla: se è vero che i sentimenti, questa volta, hanno un posto d’onore e vengono letteralmente portati in scena da un Di Paolo più intimista, che si mette in gioco e si addentra nel campo minato delle relazioni tra uomo e donna, è anche vero che lo sguardo dell’autore non è mai circoscritto nel recinto del racconto personale, avulso da qualsivoglia prospettiva sociale e contemporanea.
Questa è la storia di due giovani, Nino e Teresa, lui ventitreenne confuso con la passione per il teatro, lei trentenne dal fascino misterioso eppure così limpida nella chiarezza di gesti e parole. Non sono due ragazzi appartenenti a generazioni diverse, ma nonostante questo si sentono – e sono – profondamente distanti, sono quasi “esotici” l’uno per l’altra.
Nino è appena rientrato da Londra e Grazia – che per buona parte del romanzo è la voce che narra l’evolversi della storia tra i ragazzi – gli assegna un corso di teatro per anziani. Grazia, però, non è solo amica e insegnante di recitazione di Nino, ma è anche zia di Teresa, che da poco è giunta a Roma e lavora in un’agenzia di viaggi.
C’è difficoltà di approccio fra Nino e Teresa, c’è disagio nell’intuire la loro diversità, eppure l’attrazione va oltre e scavalca i confini della banalità per approdare nel terreno della fascinazione.
Lui è un giovane turbato, che incespica nella vita e che si affanna a rincorrere passioni subito spente, nessuna tensione ideologica a supportare le sue idee; lei è bella, complicata, oscura, costringe Nino a pensare e a farsi domande, lo obbliga alla verità che non è solo individuale, ma che diventa subito collettiva.
“Non era soltanto perplesso – su di lei, su un carattere che non dava certezze: era risentito, anche. Trovava fastidioso che fosse così pronta a dare giudizi. Da dove le venivano? (…) Era strana. Era difficile”.
Eppure, nonostante tutto, Nino non riesce a tenerla fuori dalla propria vita: è così che inizia un gioco tra le parti, uno spettacolo in cui le battute non sono scritte su un copione, in cui tutto è lasciato al destino, al Tempo, a un disegno invisibile che, forse, è già stato tracciato per loro.
Paolo Di Paolo con Una storia quasi solo d’amore costruisce un romanzo che è specchio del nostro tempo: l’amore tra i due giovani non è solo sentimento totalizzante e vissuto dal di dentro, perché è anzitutto forma di relazione tra due individui.
L’emozione dell’incontro, delle prime parole che Nino scambia con Teresa, l’imbarazzo che si crea nel relazionarsi con qualcuno tanto diverso da noi e la passione che trapela inevitabilmente al contatto con l’altro, non vengono mai banalizzati, né descritti come semplice percorso di avvio della storia.
C’è qualcosa di più, perché c’è, anzitutto, ricerca e analisi della condizione dell’uomo: i comportamenti incerti e a volte rabbiosi di Nino nei confronti di una Teresa indecifrabile e misteriosa, sono il riflesso della sua difficoltà di relazionarsi, e non solo incapacità di gestire un amore che sta per nascere. In Di Paolo l’identità della persona viene sempre al primo posto, la scoperta di sé è anteposta a ogni cosa, perché chiaro preludio all’indagine dei rapporti interpersonali.
Proprio questa instancabile e faticosa ricerca di un sé che non sia semplice maschera o finzione, ma verità, porta Paolo Di Paolo a gettare uno sguardo critico al mondo che ci circonda.
L’amore tra Nino e Teresa non è solo fatto di sguardi, imbarazzi e parole sussurrate nel vento, ma è fatto soprattutto di contemporaneità, di scontri sulla politica, sui fatti di cronaca, sull’esistenza di due Papi, su Roma – che è seduzione e inganno insieme – e perfino sulla Fede. Teresa è credente, Nino no. Teresa ha delle risposte, Nino ha delle negazioni. Ma Teresa ha anche molte domande, Nino vive di dubbi che tenta di ignorare. Teresa obbliga Nino alla realtà, Nino vive con la recitazione.
Il crescente sentimento tra i protagonisti germoglia in un presente dubbioso e buio, in un mondo che sembra spegnersi, dimentico delle battaglie ideologiche che pure ha fatto e in cui un tempo ha creduto.
Paolo Di Paolo, nella sua produzione precedente, ha sempre avuto un occhio di riguardo per questo sentire comune che nell’arco del tempo (e dello spazio) ha cambiato forma e spessore; se in Mandami tanta vita questa ricerca di identità, questa tensione verso il futuro e verso le proprie aspirazioni (“Bisogna volere le cose Carlo, bisogna volerle fino in fondo. Non era questa volontà imperiosa, smisurata, a farli saltare come grilli?”), era evidente nelle figure di Moraldo e Piero (Gobetti) – giovani così diversi eppure così simili – ora in Una storia quasi solo d’amore possiamo rintracciare gli stessi elementi in Teresa e Nino, ma soprattutto nelle parole di Grazia:
“Mentre il resto precipita nell’incuria e nel degrado – i princìpi, l’onestà, il nostro stesso corpo – qualcosa ancora laggiù emana calore. Ma non basta. Non brilliamo più. Qualcuno, da lontano, scambia per luce vera il neon freddo e sterile del saperci fare”.
Ed ecco Grazia. La Grazia. Colei che nel nome custodisce un grande Perché. Sarà lei il tramite fra questi due pianeti così distanti, tra Nino e Teresa: Grazia, come un regista che prepara i suoi allievi allo spettacolo futuro, così avvicina i protagonisti di questa storia. Grazia come un “demiurgo”, con la delicatezza spirituale che il nome rivela, aiuta Nino ad allungare la mano verso Teresa, aiuta la paura, l’insicurezza e il dubbio agnostico ad allungare il braccio verso la Fede.
Non a caso, al termine della storia, quando l’amore tra Nino e Teresa sembra spiccare il volo, Grazia si “congederà”, lasciando in mano all’uomo la libera volontà di gestire il proprio credo, di rincorrere sogni e perseguire obiettivi. Grazia è la mano spirituale a trecentosessanta gradi, è la Voce superiore che osserva e narra, che guida e che conduce l’uomo, senza imporsi.
Nino e Teresa, come personaggi pirandelliani, non sono in cerca d’autore, ma piuttosto di una loro storia personale e individuale, di qualcosa in cui trovarsi e riconoscersi. Il teatro e la recitazione in Di Paolo non sono vie di fuga dalla realtà, non sono finzioni in cui l’uomo si rifugia, ma diventano strumento per arrivare alla verità, o quantomeno alla percezione della stessa.
Frutto di una penna fluida, che lascia spazio al libero pensiero e non si obbliga agli schemi della scrittura classica, ma sfocia in una sorta di flusso di coscienza moderno, Una storia quasi solo d’amore si presenta come un piccolo contenitore di pensieri, in cui l’intimità dell’amore si mescola ad un sentire comune, che è anche sfida quotidiana, ossia vita stessa.
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