“Che cosa facciamo noi, se non bere ogni giorno il vino dei libri? Chi per disperazione, chi per allegria, chi senza sapere perché. Beviamo, ci ubriachiamo e poi la mente vede ogni sorta di cose”.
Tutti i bibliofili – meglio se incalliti – sanno cosa significa rimanere intrappolati nelle spire di un libro, ma sanno, soprattutto, cosa vuol dire non poterne più uscire. Se poi questo libro nasconde dei segreti, è avvolto nel mistero e voi siete dei bibliofili non solo appassionati, ma anche un po’ folli, allora potrete cacciarvi in situazioni molto poco raccomandabili (seppur divertenti, non possiamo negarlo).
Questo è ciò che accade a Demi K, Duccio Tancredi e Matteo Genisi, tre cacciatori di libri di un piccolo paese di montagna nel Piemonte; loro sono gli intrepidi protagonisti dell’ultimo romanzo di Mario Baudino, Lo sguardo della farfalla (Bompiani, pp. 240), un thriller letterario tanto articolato quanto raffinato.
I nostri prodi bibliofili hanno già un bel da fare nella loro cartolibreria Coraggi, tra riunioni serali al Pio Convento – rigorosamente innaffiate da quantità generose di Barolo Chinato – discussioni letterarie e catalogazioni varie, ma quando il destino decide di metterci la zampa, la situazione può farsi decisamente più interessante.
Demi (il factotum, nonché voce narrante del libro) insieme al Capo Duccio, all’alpino Matteo, alla maestra di sci Gegia, al silenzioso – forse anche inetto? – Silvio e insieme a Monsignore (elemento che non poteva assolutamente mancare in questa storia, ma che non sarò io a dirvi chi è), si deve occupare della valutazione di una immensa biblioteca, ereditata dal professor Giovanni Sterpa in modo alquanto anomalo, per non dire misterioso.
Sembrerebbe proprio che una certa contessa Rita della Ruspa, proprietaria di tutto quel ben di Dio che avrebbe fatto gola a qualsiasi libraio del mondo, alla sua morte avesse deciso di lasciare al professor Sterpa l’intera biblioteca in eredità. Un dono inaspettato, certamente ambiguo, considerati i blandi – per usare un eufemismo – rapporti tra i due. Domanda numero uno: perché proprio a Giovanni?
Forse perché il professore scrisse, a suo tempo, un saggio su quel famoso libro – ora apparentemente introvabile – attorno a cui ruota il mistero della biblioteca stessa? Il romanzo in questione è Il guado della farfalla, o no? Forse è Il guardo della farfalla, chissà. C’è confusione. Domanda numero due: cos’è il guardo o guardo della farfalla? Chi l’ha scritto? E perché non è più rintracciabile in nessuna biblioteca nazionale?
Eppure questo libro, il grande assente, porta un certo scompiglio in tutta questa storia, vicenda che si anima anche di una bella dose di terrore, a causa di un fantasma tutto verde che si aggira proprio in biblioteca. Domanda numero tre: ma chi è questo fantasma? Che ci fa lì? E che vuole?
Insomma, come avrete ben capito la trama è una di quelle che darà filo da torcere non solo ai nostri tre protagonisti, ma anche a tutti gli altri personaggi – più o meno sinistri. Questo romanzo gotico, che dal giallo si trasforma in thriller e che sfodera spesso e volentieri quell’eccellente arma che è l’ironia, è un lavoro a dir poco geniale.
Dietro personaggi sfaccettati in modo impeccabile, ognuno con le sue caratteristiche inconfondibili, e alle spalle di un intreccio degno di Conan Doyle, si staglia il tema chiave: il libro.
“Come ben sapete, i libri, tecnicamente, non esistono in sé e per sé, ma solo nel momento in cui un lettore li afferra e ne apre le pagine. Quando vengono letti”.
I libri si vestono, in questa sede, di un duplice ruolo: sono materia viva, pulsante, ben strutturata, tangibile insomma – non si scappa dalla piacevolezza della carta e dal suo odore – né, però, si può sfuggire alla loro “pericolosità”. Non sono solo idea vaga, passione di nicchia, qualcosa che si svela a pochi intimi, ma diventano strumento per oltrepassare la realtà, a più livelli. Intorno a Il guardo della farfalla ruotano tanti personaggi, molti volti, molte anime, non tutte uguali per sensibilità e intenzione, ma il libro in questo caso le raccoglie tutte: dal capitano Inghigliosi, alla vampirona Chantal, passando per la giornalista d’assalto Giuditta – che deve documentare tutto il mistero – fino ad arrivare, ça va sans dire, a Demi, Gegia, Matteo e al Capo. Sì, perché Duccio Tancredi tradisce fin dal nome un chiaro intento del romanzo, quello di portare il lettore attraverso le gotiche atmosfere di un passato assai lontano, quello dei cavalieri, dell’arme e degli amori (parafrasando maldestramente Ariosto), quello che ha per protagonisti i romanzi cavallereschi di Re Artù. Questo è l’altro grande filone, squisitamente letterario, che il thriller di Baudino persegue.
Con Lo sguardo della farfalla non solo diventiamo noi i protagonisti del romanzo, come se vivessimo in un libro avvolto nel libro e a sua volta racchiuso in una biblioteca – sublime, ma siamo spinti a ripensare il libro stesso come frutto immaginario di una mente reale, quella dell’uomo, mente che, com’è evidente, è quanto di più impalpabile ci sia, poiché fatta di pensiero.
Scrive Siegfried Kracauer nel suo saggio Il romanzo poliziesco:
“[il detective] non è rivolto verso la ratio, ma ne è la personificazione; non obbedisce, in quanto sua creatura, al suo comando, ma è piuttosto la ratio stessa a realizzare il proprio compito nella non-persona del detective”.
Ebbene, ecco che la ratio, prima o dopo, viene fuori. Ma qui non abbiamo un detective vero e proprio, non c’è Maigret, Nero Wolfe, Sherlock Holmes o Poirot, ma c’è un misto di tutti questi famosi investigatori della storia del giallo. Duccio è il Capo, il cacciatore di libri, nonché bibliofilo a metà strada fra Wolfe e Holmes. Non ha la pipa, ma ha comunque il Barolo chinato, non ha Watson, ma ha comunque Demi, e, chiaramente, è simil-onnisciente, intuitivo fino all’inverosimile, umano sì, ma solo a tratti e soprattutto sarcasticamente sopraffino. La scena finale, oltretutto, non ha nulla da invidiare ad uno dei migliori Poirot in salsa Christie.
Lo sguardo della farfalla, tuttavia, non è solo un eccellente thriller, ma è anche testo ricco di rimandi, citazioni, segnalazioni di capolavori della nostra storia letteraria: E. A. Poe regna incontrastato in tutto il romanzo, il maestro dei delitti della Rue Morgue non può proprio mancare; e vogliamo parlare del sorprendente trattato sui libri immaginari che Baudino regala al lettore? Sono immaginari quelli che Holmes cita nelle conversazioni con Watson, così come lo è il Necronomicon inventato da Lovecraft.
Dunque, non è forse anche un divertente gioco in cui il lettore può sbizzarrirsi a smontare e scovare le migliori citazioni letterarie?
L’ultima fatica di Mario Baudino, insomma, è un romanzo che ne contiene molti altri al suo interno, è arguto e sottile nei rimandi culturali, incisivo nello stile e decisamente tendente all’esoterico. Avvincente e appassionante, appaga il lettore sfamandone le curiosità puramente letterarie, nonché quelle più ardite, proprie dell’avventura e del giallo.
Recensione splendida!
Recensione a dire poco , entusiasmante ! Mi è venuto voglia di leggerlo ! Una voglia matta !!!
Benissimo! Poi mi dici se ti è piaciuto? 🙂
Minimo ! Grazie per la segnalazione !