E’ l’agosto del 1942 quando il piccolo Tommaso si sveglia e sa già che quelli a venire saranno giorni di grande attesa, l’attesa di una festa organizzata in paese nella quale, insieme all’inseparabile amico Camillo, si potranno ammirare i prestigiatori, il mangiafuoco e le bancarelle dei giocattoli. Assieme a loro c’è anche la giovane Lia, una bambina per la quale Camillo prova qualcosa di più che una semplice amicizia; ma nessuno può ignorare che Lia sia la figlia di Gerardo Draghi, il ras fascista sempre accompagnato da un manipolo di camicie nere, che terrorizza tutti gli abitanti del paese esercitando il suo potere anche tra le mura della Valle, la casa padronale dove abita insieme a sua moglie e ai suoi figli.
L’Ombra oscura della Storia fa capolino ad ogni pagina di Volo di paglia (Fazi Editore), questo esordio così potente e così mistico, elaborato dalla penna poetica e innovativa di Laura Fusconi, che divide la storia in due parti: se la prima è ambientata negli anni Quaranta del Novecento, la seconda è ambientata nello stesso identico luogo ma alla fine degli anni Novanta, più precisamente nel 1998.
In questo caso, al ricordo di Lia, Tommaso, Camillo e del fascista Draghi, si sovrappongono i tempi presenti (e futuri) di Mara e soprattutto di Lidia e di Luca, che fungono quasi da alter ego dei vecchi Lia e Camillo. Proprio loro, infatti, giocheranno nelle stesse balle di fieno della casa padronale della Valle che fu scenario non solo di intrattenimenti passati, ma anche di tragici eventi che tutta la comunità – compreso don Luigi – fatica a dimenticare.
Per capire meglio chi siano i protagonisti di Volo di paglia e dove si annidi il significato profondo di questa vicenda, ho intervistato l’autrice, Laura Fusconi.
Prima di iniziare a ragionare su Volo di paglia e sulle tue aspirazioni letterarie, vorrei cercare di capire chi sia Laura Fusconi, giovane esordiente diplomata alla Scuola Holden. Riusciresti a descriverti utilizzando tre aggettivi e motivando la scelta?
Determinata, ma spesso insicura. Testarda, ai limiti della cocciutaggine. Avventata e molto impulsiva. Non è un ritratto molto lusinghiero, ma ci sto lavorando.
Da dove nasce l’idea di scrivere un romanzo così complesso, spostato su due piani temporali e in cui la Storia ha un ruolo cruciale?
L’idea di fondo è che il passato non può essere archiviato, soprattutto se implica dolore, perché influenza e determina il presente: l’unica via è affrontare onestamente ciò che rimane di irrisolto, per quanto scomodo possa essere.
Che rapporto hai non solo con la Storia in sé, ma anche con il passato – il tuo passato? Come gestisci il potere della memoria?
Credo che conoscere la storia e farne memoria sia un dovere per tutti. Certo non è semplice: nel momento in cui pensi di aver capito qualcosa, in realtà non hai capito nulla perché stai solo semplificando. Trovo interessante ascoltare i testimoni, come mi è capitato di fare per scrivere Volo di paglia.
Per quanto riguarda il mio passato cerco di non lasciare zone d’ombra. Ho due fratelli più grandi e due sorelle più piccole: la mia infanzia è stata ricca di giochi, litigi e contrasti. Scrivendo mi sono resa conto che è ancora molto viva in me.
Nella seconda parte del romanzo, Gerardo Draghi, il ras fascista, sembra abitare ancora le stanze della Valle nonostante sia morto da diverso tempo. Il peso di quel passato diventa un fantasma tangibile, palpabile, presente: cosa simboleggia Draghi? Perché resiste anche oltre la morte?
Lidia e Luca sono attratti e terrorizzati insieme dalla Valle: giocano nelle sue stanze immaginando la presenza di un’Ombra che acquista sempre maggior concretezza nella loro mente e nei loro giochi. Ma un’ombra nella Valle c’è davvero, lasciata dal dolore provato da chi, quarant’anni prima, viveva in quella casa.
Il grido “Dio è un bugiardo” e il rosso delle pareti sembrano tenere in vita Gerardo Draghi, che rappresenta tutto ciò che di peggio un adulto può essere.
I bambini, in Volo di paglia, costituiscono sicuramente uno dei cuori pulsanti della narrazione. Perché hai scelto di focalizzare l’attenzione sull’infanzia?
Mi ha sempre affascinato lo sguardo schietto dei bambini che spesso è più lucido di quello degli adulti. I bambini sanno inventare mondi e riescono a sconfiggere mostri che talvolta sono più reali di quanto si possa immaginare.
Mi piace scrivere dell’infanzia, per qualcosa che ha a che fare con la spontaneità che crescendo, inevitabilmente, si perde: scrivere di bambini è il mio modo per cercare di mantenerla viva.
Il dolore e la violenza come vengono recepiti, assimilati e metabolizzati dai bambini? Il gioco aiuta ad esorcizzare il terrore del dramma?
I bambini sono capaci di trasfigurare la realtà. Questo li rende meno fragili: è sufficiente che abbiano un punto fermo nella loro vita per affrontare anche i drammi più tremendi. Qualche volta i punti fermi vengono a mancare del tutto. Lia non può contare né sull’affetto del padre né sull’appoggio della madre, e si arrende.
Nel tuo romanzo si possono rintracciare molti elementi letterariamente rilevanti, come ad esempio un tocco potente di realismo magico, quasi neogotico. Quali sono i libri che ti hanno formata di più? E gli autori ai quali ti ispiri?
Penso a Shirley Jackson: Abbiamo sempre vissuto nel castello, L’incubo di Hill House, La lotteria. Penso a Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, a L’anulare di Ogawa, a La casa delle belle addormentate di Kawabata. A Murakami e a Kundera, a García Márquez e alla Allende. Se guardo più indietro ci sono Roald Dahl e Bianca Pitzorno. E quello che è stato il mio libro preferito per anni: Il mulino dei dodici corvi di Otfried Preussler.
