«Più trattiamo argomenti sensibili, e più conviene non affrontarli mai in modo diretto. La metafora diventa in qualche modo imprescindibile, ed è la condizione stessa per essere ascoltati».

Partiamo da qui, dalla metafora, che non è altro – cito in modo testuale – che la sostituzione di un termine proprio con uno figurato. Perché si ricorre alla metafora, solitamente? Per due motivi principali: il contenuto, l’oggetto del nostro contendere, vuole essere in parte celato, o per meglio dire, vuole essere ammantato di un mistero non fitto ma in ogni caso evidente; e in secondo luogo, perché dev’essere chiaro a tutti che il nostro suddetto contenuto potrebbe anche trasformarsi in qualcos’altro, potrebbero assumere – perché no – persino una forma diversa, ma complementare, rispetto al significato di partenza.
E dunque, qual è lo strumento con cui si mettono in scena, dalla notte dei tempi, le più grandi metafore della vita dell’uomo? Il teatro. Ieri, grazie all’evento promosso da Intesa Sanpaolo Giovani, la sottoscritta – insieme ad altri cinque noti ed eccellenti blogger e giornalisti culturali – ha fatto un giro dietro le quinte del Piccolo Teatro Strehler di Milano in occasione della rappresentazione di Freud o l’interpretazione dei sogni. Lo spettacolo, tratto dal libro di Stefano Massini L’interpretatore dei sogni (Mondadori; qui trovate l’articolo di interesse), per la regia di Federico Tiezzi, ha esordito con grande successo di pubblico e critica il 23 gennaio e sarà in scena fino all’11 marzo 2018.

Il cast degli attori – a dir poco favoloso – è riuscito in un’impresa molto audace, vale a dire dar vita, concreta, ad un mondo onirico, che per definizione è quanto di più sfuggente e impalpabile ci sia. La scena che prende vigore sotto i nostri occhi è popolata da Sigmund Freud (un impareggiabile Fabrizio Gifuni) e dai suoi pazienti (Umberto Ceriani, Nicola Ciaffoni, Marco Foschi, Giovanni Franzoni, Elena Ghiaurov, Alessandra Gigli, Michele Maccagno, David Meden, Valentina Picello, Bruna Rossi, Stefano Scherini, Sandra Toffolatti, Debora Zuin), “tutti truccati in modo da far intuire immediatamente al pubblico che sono loro i malati: volto cereo, bianchissimo, e profonde occhiaie scure”, ci spiega Gianluca Sbicca, costumista.

“La difficoltà maggiore, in fatto di scenografia, è stato invece rendere il concetto di permanenza, dacché il sogno è qualcosa di assolutamente non permanente”, dice lo scenografo Marco Rossi, con cui abbiamo chiacchierato prima che iniziasse lo spettacolo. “Tutta la scenografia, qualsiasi oggetto voi stiate guardando ora, è stato realizzato interamente da noi. Dal prato in rafia, alle statue classiche, alle singole sedie”, continua Rossi, “e c’è da dire che scenografia e costumi vanno di pari passo rispetto ai materiali utilizzati per la realizzazione, spesso e volentieri materiali di riciclo, o comunque non eccessivamente ricchi”. Infatti apprendiamo dal costumista Sbicca che “al regista Tiezzi piacciono le cose semplici e lineari; a mano a mano che procede col lavoro tende a togliere il superfluo e a porre in evidenza l’essenziale”.
L’attività freudiana che viene rappresentata si sviluppa negli ultimi anni dell’Ottocento, dunque con i costumi siamo in piena secessione viennese: “abbiamo sfruttato molto il velluto, che quando è esposto alla luce diventa splendente, e al contempo assorbe l’oscurità se la scena è quasi completamente buia” sottolinea Sbicca “abbiamo cercato di rendere quest’idea: sono i personaggi, e dunque i pazienti, che sognano Freud o è Freud a sognare i pazienti? Come se i malati stessi diventino, ad un certo punto, delle emanazioni di Sigmund”.
C’è sì, in tutto il lavoro di costruzione della scenografia e nella sceneggiatura, l’intenzione di attenersi al testo di Massini, ma fino ad un certo punto: fondamentale, come si evince dallo spettacolo, è lasciare che il pubblico si faccia guidare dal proprio inconscio, che in quel preciso momento è pienamente rappresentato sul palcoscenico. Tiezzi ha puntato tutto sull’indagine, sulla ricerca e in parte sicuramente sulla descrizione dettagliata del metodo di analisi dei sogni di Freud, che dall’esperimento clinico del singolo paziente ne ricava una storia più complessa, profonda e indiscutibilmente inquietante – esattamente ciò che fa Stefano Massini, nel ruolo di romanziere, all’interno del suo testo; risale la corrente e trasforma il “paziente” in “uomo”, narrandone la vicenda clinica e personale.
“Il sogno è un costruttore di immagini” scrive l’autore nel suo L’interpretatore dei sogni, e non è forse il teatro il mondo dove le immagini assumono una forma e una consistenza specifiche, e al tempo stesso si uniscono alle parole per fissare dei momenti – unici, irripetibili e fugaci, come i sogni – nello spazio e nel tempo? È così che il sogno diventa realtà, al Piccolo Teatro Strehler.