Raggomitolata con le spalle al muro, i lunghi capelli biondi ad accarezzarle la schiena, qualche goccia di sudore le scendeva lungo il seno, piccolo e bianco. Aveva abbassato le difese ed ora era lì, rapita dall’immagine che le proponeva la calda piazza di luglio, alle 15 del pomeriggio, palpitante dietro il vetro della sua finestra.
“Nun ce vojo annà! Nun ce vojo annà!”
“Daje Eugè! Viè qua bello de nonna, daje! Nun me fa ‘mbestialì!”
“No! No! Nun ce vado là! Nun me piasce! Puzza de bbroccoli!”
Quanta invidia verso quella spensieratezza. Lei, che non riusciva a non pensare al suo disagio, che non riusciva a staccare l’attenzione dall’ingordigia di quel malessere che la divorava.
“Eugenio, essù, fa’ lo bbono, nonna deve annà in campagna! Co chi te lascio?!”
“Me lasci da solo! So’ granne abbastanza pe’ famme l’affari mia! Da zia Ervira puzza troppo!”
“Ah regazzì, ‘nnamo ‘mpo’ sa!”
“Aho! T’ho detto de no!”
“Eugè sai che famo? Se adesso vai da zia Ervira stasera nonna te prepara la parmiggiana che te piasce tanto, eh?”
“Davero nonnì?”
“E che te dico le bbuscie io? Daje a nonna, fa’ ‘r bravo..”
Quella specie di accattone pasoliniano si era accucciato tra il braccio rugoso della vecchia e la sua pancia dura, mentre continuava a far “sì” con la testa.
A Laura sfuggì un sorriso di rabbia. La parmigiana. Lei che da mesi non mangiava altro che carote e pesche. Il pensiero della parmigiana la nauseava, ma quel trasporto affettivo della nonna verso il suo nipotino, di quello sì, che ne avrebbe fatto una scorpacciata.
“Laura? Posso? Dai vèstiti, hai il treno alle 16.43. Ma che fai lì impalata? Vai via dalla finestra e non stare così accovacciata, ti verranno le righe sulla pancia!”
Le righe sulla pancia? E cosa vuoi che me ne importi? Faccio la modella mica sono fatta di cera. Faccio la modella, ma non posso essere costretta a comportarmi come un manichino. Faccio la modella, ma vorrei vivere anche io, senza vestiti, senza bilancia, con più partecipazione.
Quel corpo magrissimo strabordava di amarezza: le dita, ormai ridotte ad esili fili di lana, sgattaiolavano velocemente da una stoffa all’altra, senza una meta precisa. Le gambe asciutte e muscolose elemosinavano requie. Quel grumo di dolore che era diventata la sua vita, dimagrita anch’essa di colpo, spogliata di tutti gli entusiasmi dei vent’anni, cercava un lieto fine, come nei romanzi che Laura leggeva di notte. Unico momento di solitudine che le facesse riacquistare un briciolo di serenità.
“Allora? Sei pronta?”
“Certo mammì, ecchime qua, nun me vedi?”
“Laura, ma come parli? Che ti è preso?”
“Niente mammì, sarà ‘sto luglio che nun me piasce affatto.”
Parmigiana e altri dolorosi condimenti – di Giulia Ciarapica
