(Illustrazione di Angela Varani – www.angelavarani.com)




Siamo tutti evidentemente sconvolti. Non doveva andare così, e invece, ancora una volta, è successo.
È successo che 130 vite sono state trucidate al grido di “Allah akbar”, “Allah è grande”. Queste persone sono dunque morte in nome della religione? No, queste persone sono morte per mano della follia, la follia omicida di musulmani integralisti che con Dio c’entrano ben poco.
Siamo tutti concordi nel sostenere che la violenza non è mai figlia di un dio, nessuna religione contiene il germe del male in sé, perché – in quanto tale – si rivolge a qualcosa che con questa miseria terrena ha poco a che vedere.
Eppure è in nome di Allah che gli otto terroristi musulmani hanno fatto una strage, la notte del 13 novembre a Parigi. L’ISIS ha rivendicato gli attentati.
Nel caos più totale di quella notte e del giorno seguente ci siamo scatenati con giudizi da discount, abbiamo puntato il dito contro una razza, un popolo, una religione, senza fare distinzioni, senza riflettere. La paura e l’odio – di riflesso – ci hanno accecato ed abbiamo risposto alla violenza con altra violenza, verbale e fotografica.
Se non ci sono parole per descrivere l’indignazione e la rabbia contro i terroristi, dobbiamo però trovare le parole giuste per capire: l’Islam non è l’ISIS, l’Islam non è fatto di soli terroristi, l’Islam è anche chi vive nel nostro Paese da molti anni e ha allevato i suoi figli – nati in Italia – educandoli al rispetto reciproco. In un momento come questo si fa fatica a pensarlo, ma dobbiamo razionalizzare: più volte, negli ultimi giorni, ho sentito il paragone – giustissimo – tra i terroristi dell’ISIS e Hitler. È un paragone che mi sono permessa di fare anche io, all’indomani della strage alla redazione di Charlie Hebdo (poi rivendicata da Al Qaeda, ma sempre di terrorismo si parla). Giusto e sacrosanto, aggiungo, vedere nella follia dell’ISIS la stessa che ha mosso Hitler, eppure non abbiamo mai dato per scontato che tutti i tedeschi fossero nazisti. Identico discorso vale per noi italiani: siamo forse stati tutti fascisti all’epoca del Duce? O, ancora peggio, dobbiamo forse pensare che tutti noi, abitanti del Belpaese, siamo mafiosi? Ci siamo indignati così tanto – e a ragione – quando, nel luglio del 1997, uno dei maggiori quotidiani tedeschi, Der Spiegel, dipinse l’Italia (e gli italiani) con un piatto di spaghetti e una pistola fumante sopra.
Questo giustizialismo da macelleria non ci fa onore, ammettiamolo. Tuttavia, il punto è un altro.
Il punto è che siamo in guerra, ora. E dobbiamo combattere, senza tanti giri di parole.
Se vogliamo la pace dobbiamo prima vincere la guerra contro il terrorismo. Ma per intraprendere una guerra – di qualsiasi guerra si parli e combattuta con qualsiasi mezzo – occorre capirne i motivi, individuare da dove proviene il male che si vuole sconfiggere: il male, in questo caso, proviene da quella parte dell’Islam malata, quella che ha un nome – ISIS – e che si serve della religione per conquistare un potere terreno che nulla ha a che vedere con il soprannaturale.
Questo è un dato di fatto e, come tale, va considerato.
Il Califfato nero ha colpito ancora, e questa volta ha ferito uno dei cuori pulsanti dell’Europa: Parigi. I folli miliziani che hanno commesso la strage hanno agito credendo di conquistarsi la loro fetta di Paradiso, perché qualcuno ha insegnato loro che l’unica via possibile è la religione di Allah, e gli infedeli vanno puniti. Chi deride Allah va punito. Chi non sposa la causa musulmana va punito. Con la morte, chiaramente.
La cosa peggiore, tuttavia, è che chi fa il lavaggio del cervello a questi giovani jihadisti è ben consapevole che non è certo Allah che li sta chiamando alle armi. Perché è innanzitutto da qui che dobbiamo partire: chi sono coloro che si arruolano nelle file dell’ISIS? Da chi è composto l’Is? Chi è?
Dobbiamo prima di tutto precisare che coloro che decidono di arruolarsi nell’ISIS (arrivano per lo più dall’aerea mediorientale, Giordania e Libano, e del Nord Africa, Marocco e Libia, oltre che da Russia e Cecenia) lo fanno sì per motivi religiosi, ma la molla più grande è la fame. I soldati, la cui età media è molto bassa (dai quindici/diciassette anni ai quaranta circa) sono mossi soprattutto dalla serie di benefit che il Califfato propone loro. In sostanza, quanti di questi ragazzi, spesso senz’arte né parte, in gravi difficoltà economiche, sanno davvero a cosa vanno incontro? E ancora peggio: quanti di loro subiscono un vero e proprio lavaggio del cervello credendo di guadagnarsi il Paradiso con le stragi degli infedeli?
“Il Califfato ha una religione ufficiale – la Shari’a – e una religione nascosta, segreta ma non per questo meno importante. Una religione che regola tutti i meccanismi e tutta la vita dello Stato Islamico come e, forse più, dello stesso Corano. È la religione del dio denaro”.
Sono queste le parole chiare e dirette della miliziana fuggita dall’ISIS e intervistata da Di Meo e Iannini ne “La Soldatessa del Califfato”. Il dio denaro è ben più forte di Allah, ben più potente, anzi, ben più grande. È lui il dio che realmente condanna e uccide. Lui è il dio che governa quel tumore dell’Islam chiamato ISIS.
Ma chi è, invece, l’Islam? E perché parliamo di Islam “moderato”? Noi abbiamo forse un Cristianesimo “moderato”? No. C’è sicuramente un Cristianesimo che, in nome di Dio, ha combattuto crociate e bruciato le streghe al rogo, ma, insomma, eravamo anche in pieno Medioevo. E pur constatando che anche oggi esistono i fanatici – per qualsiasi tipo di religione – dobbiamo intelligentemente e obiettivamente ammettere che NESSUNO UCCIDE 130 PERSONE, per fanatismo religioso, all’urlo di “Allah è grande!”
Perché bisogna ricordare che il fondamentalismo di cui si parla in questo caso è un fondamentalismo che uccide il prossimo, il diverso, l’altro. Colui che viene considerato infedele.
Dunque, per capire l’Islam occorre partire dalla base: il Corano.
E qui subentrano i problemi, difficili da superare perché la lettura del Corano è di per sé un problema: esistono varie interpretazioni? Come affrontare la lettura in modo corretto? Non possiamo prescindere da questo, è evidente, perché se i fondamentalisti fanno appello al Corano, l’Islam “moderato” fa altrettanto. E perché, allora, Magdi Allam, che prima di convertirsi al Cristianesimo è stato per 56 anni musulmano, ha scelto di abbandonare la via dell’Islam sostenendo che un Islam moderato non esiste?
E perché, ancora, se Magdi Allam suggerisce e legge alcuni brani del Corano – tradotti, lo ricordo ancora, da lui che è giornalista, politico e scrittore egiziano che ha abbracciato la fede musulmana per più di 50 anni – viene considerato dagli altri fratelli musulmani (come è recentemente successo in varie trasmissioni televisive, Virus e Quinta colonna) soggetto non credibile, solo perché si è convertito? Allam legge e interpreta. E perché invece gli altri fedeli musulmani dicono che la sua interpretazione non è corretta?
Queste sono le domande che, a mente fredda, per quanto possibile, dovremmo iniziare a porci. Per capire, analizzare e agire. In modo consapevole e diretto e soprattutto senza più paura. Non è uno scontro fra civiltà (ammesso e non concesso che di civiltà si possa parlare, nel senso letterale del termine), ma è una guerra per contrastare la follia omicida dei terroristi. Ma per combattere serve strategia, razionalità e alleanza con quell’Islam succube anch’esso del terrore jihadista.